lunedì 7 luglio 2014

1.4. La poesia

Come si affronta la poesia nei primi anni di scuola?

Certo scegliendo buone poesie, possibilmente non leziose e cantilenanti. Da far leggere, recitare o interpretare nel modo migliore, secondo il significato e non secondo la rima. Grande Rodari, ma anche Leopardi , Prevert e Garcia Lorca.  Dai giornalini compare poco questo aspetto, salvo qualche accenno di testimonianza, quando raccontano di aver letto o recitato al microfono. Ho avuto un microfono di fortuna, molto utile per ottenere disinvoltura ed espressività e a far superare timori e timidezze.

Educare alla poesia implica anche saperne cogliere la musicalità. Cioè leggerle e recitarle nel modo giusto.


In una nota di diario in prima elementare, ho scritto uno sfogo su una scolara che poi negli anni è stata la più brava ed entusiasta nell'inventare poesie. Scrivo: “All'inizio dell'anno L.P. aveva chiesto di recitare una poesia. Era una filastrocchetta insulsa, condita da esclamazioni e mossettine. E' stata una delle poche volte in cui ho sentito un moto di antipatia per un bambino”.

Negli anni quel microfono mi ha aiutato a sottolineare io per prima il modo di leggere-secondo-significato le poesie e a pretenderlo da tutti, sia dette a memoria, sia in lettura.
Ho verificato che i ragazzi sono in grado di comporre rime ed anche testi che hanno già sapore di poesia.

Fin da piccoli conoscono componimenti in rima, filastrocche, canzoncine. A volte anche racconti, scenette, fumetti svolti in rima. Con la classe di “Senza paura” non ho scelto soltanto di giocare con le parole, secondo i suggerimenti e le esperienze di Gianni Rodari o di Mario Lodi. Le prime strofe in quella classe sono nate lavorando tutti insieme. Avevamo dedicato qualche ora alla settimana ad inventare una favola scegliendo tra le proposte suggerite dai ragazzi. Una lunga favola dell'orso Bigiobravo.

Come mai una favola da inventare tutti insieme? Fin dalla classe prima molti scolari si lanciavano a scrivere favole, più o meno lunghe, più o meno originali. Era una delle cose più amate. Inventando favole scrivevano a lungo, aggiungendovi disegni quasi sempre bellissimi. Ne sono nate tante che non potevano starci tutte nel giornalino, e in terza classe fu necessario creare un numero speciale dedicato alle favole. Ed era soltanto ottobre. E' nata l'idea di inventarne una tutti insieme. E' stata una bella scommessa, perché coinvolgere tutti e dare la parola a tutti si rischia gran chiasso e prevaricazione dei più disinvolti a danno dei più lenti o timorosi. Ed anche il rischio di prevalenza dell'insegnante, che deve lasciar spazio e accettare anche sviluppi strani della storia, a volte nemmeno felicissimi. Alla fine ci siamo riusciti. Non ne è uscito un capolavoro, ma quelle ore effervescenti e allegre, quella atmosfera di volonterosa competizione, quel giocare e nello stesso tempo lavorare sono state certamente un passaggio di crescita personale per tutti i ragazzi. Che poi l'invenzione finisse con una filastrocca in rima è stato naturale, forse a ricordo delle favole a voce che le mamme raccontano o leggono a sera per accompagnare al sonno, favole che quasi sempre finiscono con una rima, che le suggella e le conclude.

La conclusione in rima che troverete alle pagine 11, 12, 13 e 14,  vi sembrerà retorica e forse melensa e moraleggiante secondo i nostri occhi di oggi. E' nata però da uno sforzo e da un confronto anche comportamentale sulla vita di quel gruppo classe, dall'osservazione critica delle dinamiche sociali anche fuori della scuola. Era inevitabile e naturale che anche la nostra favola si concludesse con una morale, un predicozzo, rivolto prima di tutto a noi stessi. Insomma, la ricerca della rima era un gioco, ma il contenuto cercava di essere una specie di impegno morale nostro.
 
 

 
 

Con gli alunni delle prime classi gli allenamenti all'uso della lingua si fanno anche giocando con le parole. La ricerca di parole che fanno rima, cioè la creazione di filastrocche, aiuta a impossessarsi dei vocaboli e a volte raggiunge umorismi e significati surreali. In ogni caso diverte moltissimo, il che non è male, se si vuole che i ragazzi stiano bene a scuola.
Molto spesso ho provocato gli scolari a creare rime scherzose sui loro nomi di battesimo o su una parola. Ecco cosa ne è uscito in classe quarta:

“Filastrocca di Alessandro. Alessandro si mise uno scafandro – e rotolando – andò addosso ad un oleandro; -lampeggiando – uscì fuori il Sor Orlando – sbadigliando.”

Filastrocca di Monica. Monica suonò la fisarmonica – accese la cucina economica – e bruciò la canonica – Il prete fece una ricerca dinamica – si sbrigò – spense la cucina economica – e gridò: - “voglio un po' di musica elettronica!”


Pag. 49, fascicolo Senza Paura n. 6 aprile 1980 ( Ci sono 5 filastrocche di Liliana, Emanuela Silvia e Cristina)

Più avanti, in classe quinta, non so se per l'allenamento giocoso con le filastrocche o per l'amore acquisito verso poesie vere, i ragazzi hanno creato delle composizioni che hanno diversi lampi di poesia. E' successo per l'emozione di un fatto sconvolgente come il terremoto dell'Irpinia.

Spontaneamente e un po' a catena. Credo abbia cominciato Liliana, anzi che me lo abbia chiesto timidamente: “Posso fare una poesia?”. A poco a poco, quasi tutti in classe hanno voluto tentare quel linguaggio diverso, difficile. Forse tutti sentivamo che per un fatto così grande fosse necessario comunicare in forma più alta. Quasi non bastasse la prosa, la lettera, il diario.

Nelle pagine 36, 37 e 38 compaiono nove composizioni, contrassegnate con nome cognome ed età degli autori. Dovrei scusarmi per non averli cancellati. Credo che quei lontani ragazzi mi perdoneranno e credo anche che, come chiunque, avranno un moto di commozione, ora che sono adulti e spesso anche genitori, fermandosi su quella scritta “anni 10”. (Tra l'altro, dal carattere della macchina, debbo ricordare che quelle pagine le ha trascritte una delle mamme che mi aiutavano alla creazione materiale del giornalino).


 

 
Altra precisazione. Tutte queste composizioni sono state fatte in classe.

Qualche volta gli autori hanno chiesto un aiuto minimo, per una parola significante che cercavano o perché dispiaciuti di non aver creato una rima o una espressione più poetica. Per parte mia li ho spinti a privilegiare il significato, cioè il concetto e il sentimento che sentivano di doverci mettere. Almeno a scuola, anziché tornare dolorosamente sulla cronaca, scrivere queste righe era un atto liberatorio e nello stesso tempo un dono a quegli sfortunati sconosciuti.

Sempre sulla poesia trovo tre composizioni, due di Liliana e una di Fabrizio, che hanno temi diversi. Liliana ricorda la nonna e pensa alla morte (pag. 59)  e più avanti all'estate (pag. 60) mentre Fabrizio pensa alla Primavera (pag. 63 sempre del n.7 di “Senza paura”, anno 1981, maggio).


 

La conoscenza della città, con lo studio sistematico attraverso le ricerche su Roma Antica , Roma barocca e Roma nel Medioevo, suggerisce a qualcuno di esprimere in forma poetica il suo entusiasmo per un luogo, e addirittura per il fiume Tevere, come fa Franco a pag. 28 del numero speciale di “Senza paura”, classe V^, intitolato “Alla scoperta di Roma barocca”, o come fa Liliana alla pag. 37 dello stesso fascicolo, dove lamenta che la gente, stupidi romani, passi senza guardare le bellezze della città, e ci mette il titolo “Ma io ti guardo”.

 
 
 


Inserire pag 28 e pag.37, fascicolo “Roma Barocca”