venerdì 8 agosto 2014

Il dialetto

Se nella vita fuori dalla scuola si parla il dialetto, è necessario tenerne conto. Ed è anche utile lasciarlo entrare in classe. Penso che ogni dialetto ha una sua forza espressiva, una sua musicalità e spesso ha anche i suoi poeti. Se i ragazzi debbono scrivere una scenetta vera ricorrono spesso alle espressioni dialettali. Scrivono come si parla, istintivamente. Mi sono sempre meravigliata, da non-romana, della facilità con cui i ragazzi stessi trovano la soluzione grafica per rendere quei termini, quelle tonalità, quelle inflessioni.

Il massimo di quell'esperienza l'abbiamo raggiunto con la trasformazione della ballata di Natale riscritta in classe in alcuni giorni molto divertenti, in previsione della recita di Natale di fronte ai genitori. Ancora sorrido di me che mi affido alla competenza dei ragazzi e di loro orgogliosi che si contendono l'espressione migliore e più giusta, più aderente alla traduzione della ballata che vogliamo reinterpretare. Non per caso ci mettiamo il titolo ”Giuseppe e Maria a Roma nel 1981” con soprattitolo “Dialetto romanesco dei bambini”. Si correggono a vicenda, polemizzano, sono felici. Tocca a me scegliere e spero di averlo fatto bene. Tra i più bravi ricordo Nicoletta, che ora è avvocato, poi Francesco, che ora è autista sugli autobus o sulla Metro, e Gianfranco, che è laureato in psicologia e fa l'assistente sociale.



 

( pag. 21,22. 23 e 24 della prima letterona aprile 1982)

In quell'entusiasmo, la mamma di Romina ci porta in classe un vero poeta romanesco, iscritto alla associazione dei Romanisti. Ne scrive Gianni alla pagina 21. Con questo anziano e simpaticissimo signore, è nata una vera amicizia. Gli abbiamo chiesto di reinterpretare in romanesco la stessa ballata, un romanesco più pulito, più classico. La sua versione è pubblicata alle pagine 23 e 24. Certo è migliore, ma tutto sommato anche la nostra non era da buttar via.

Questo lavoro sul dialetto ci è venuto naturale anche in relazione al gemellaggio con la classe di Reggio Emilia. Perché, come scrive Gianfranco, anche il dialetto può essere bello e “anche voi conoscerete il nostro e noi vorremmo conoscere il vostro”.

Infatti nell'ultimo numero della Letterona, ci trova posto una dedica in poesia del signor Tosti, che si firma nonno Federico “a li pupi di Reggio Emilia” (pag. 27 Letterona n.2) una “stornellata gemellata”( pag. 29) scritta per noi da un collega buontempone e cantata al teatrino nella festa di incontro. Naturale che ci sia in dialetto reggiano, con allegata traduzione, una filastrocca popolare allegra, scherzosa e in crescendo, intitolata “In mez al prè” (in mezzo al prato) (pag. 28). Nella stessa festa di incontro i ragazzi reggiani hanno cantato questa filastrocca con ironica gioia. Così “Tevere e Po se so' toccati Reggio con Roma se so' baciati”.





Tutto questo dialetto ha trovato posto e dignità, alla presenza del signor Tosti, dei genitori, degli insegnanti, del direttore e degli operatori culturali e assessori del Comune. Accanto alla canzone Roma Capoccia, allo scambio dei doni, ai saluti, ai commenti.